L’arte deve proporre sempre qualcosa, mediante la ricerca di un linguaggio personale, distinto da ciò che è il linguaggio comune che appartiene quindi ad un’altra sfera, a quella semplicemente della normale comunicazione sia visiva che verbale. Da questo principio viene proposto un concetto attraverso la lente – o il filtro – dell’arte che si rivolge a l’IDENTITÀ; in un contesto ben preciso, ossia in quello dello spazio.

Noi innanzitutto siamo elementi. Chi ci può osservare come gocce, chi come petali, siamo pur sempre elementi collocati in uno spazio ad una determinata velocità, ma il contesto temporale in cui ci troviamo ad essere inseriti, non importa.

La fase del passaggio dalla “identità” individuale austeramente inquadrata (come in SPACES) a quella “relazionale” dissolta (come qui in TRACES) è estremamente corretta, direi anzi obbligatoria, necessaria, poiché prima siamo individui, ma poi siamo anche individui dentro una realtà costituita da relazioni che viene imbastita con tutte le realtà che troviamo intorno. Il concetto di identità è fondamentale per potersi successivamente porre nello spazio relazionale del mondo circostante, all’interno del contesto a noi dato.

Ma oserei considerare che questa primaria identità non dovrebbe mai costituire un ostacolo – o limite – alla possibilità stessa di entrare in rapporto con gli altri.

Se questa dovesse costituire un limite, allora credo si dovrebbe parlare di privazione per l’essere di avere l’opportunità di crescere, di maturare ed arricchirsi, mentre se invece una costituita identità ci permettesse di cogliere a pieno le identità altrui in un rapporto di interscambio, ci si aprirebbe dunque alla possibilità di incrementare nettamente il proprio valore umano, potenzialmente presente in ognuno.

Occorre essere in grado di vedere e di percepire tutto quello che è intorno, avere una soggettività tale da capire ciò che rappresenta un valore, da ciò che piuttosto rappresenta un disvalore, da cui prendere le dovute distanze. È importante che l’uomo sviluppi in sé, con il mezzo dell’arte come in questo caso, uno spirito critico, una capacità di interrogarsi, di elaborare una propria visione del mondo.

Solo partendo da queste basi possiamo porci in maniera consapevole nella relazione con altro. Da qui vediamo nelle nuove opere che i colori si sono fusi, che hanno creato altre sfumature, nuove tonalità e cromie, nuove ombre, altre immagini, vaghi paesaggi visibili e percepibili anche per la mente.

Il movimento, la rottura e poi l’uscita dal proprio confine-segno-forma, questo passaggio ha dunque determinato qualcosa di nuovo, di inedito. Smuovere rappresenta perciò un passo successivo al limite prima svelato, facendo porre lo sguardo dell’osservatore su qualcosa di diverso che si è modificato, evoluto.

Il giudizio sul risultato – se migliore o peggiore – a questo punto non credo interessi più, poiché è bastato avere sviluppato e raggiunto un concetto successivo, di novità rispetto al già conosciuto e rappresentato.

Pasternak ci dice che: “ Bisogna essere di un’irrimediabile nullità per sostenere un solo ruolo nella vita, per occupare un solo ruolo nella vita, per occupare un solo e medesimo posto nella società, per significare sempre la stessa cosa.”

Quindi anche l’arte non può perennemente esprimere e significare sempre e soltanto lo stesso concetto, seppure proposto in tutte le sue possibili varianti, ma deve presentare una ricerca intesa come evoluzione del proprio messaggio.

In“TRACES”ci si trova infatti difronte ad un nuovo risultato, arte intesa come esplorazione di senso, dove si assiste alla espansione della materia con i colori creando una dimensione estremamente personale in altri spazi, dove vengono proposti elementi che tracciano una frontiera sconosciuta rispetto ai precedenti significati, che inequivocabilmente rappresenta una ricchezza per l’osservatore, il quale viene a trovarsi dinanzi ad opere universali.

Gianni Marcantoni